80possano al fuoco dare la salma, e le spose troiane.
E s’io l’uccido, e Apollo tal gloria mi dà, l’armi sue
io prenderò, porterò di Troia nel sacro recinto,
le appenderò nel tempio d’Apollo che lungi saetta,
e il corpo renderò ai legni dai solidi banchi, 85perché gli dian sepolcro gli Achei dalle floride chiome,
e d’una tomba il clivo gl’innalzin su l’ampio Ellesponto,
sí che taluno dica, di quanti verranno in futuro,
con la sua nave grande solcando il purpureo mare:
— Questa è la tomba d’un uomo che visse nei tempi remoti: 90Ettore illustre l’uccise, mentre ei combatteva da prode. —
Cosí dirà taluno. Né fine avrà mai la sua gloria».
Cosí diceva. E muti rimasero tutti gli Achivi,
ché avean di rifiutare vergogna, e timor d’accettare.
Pure, a parlar si levò Menelao, con parole rissose, 95con vituperî ai compagni: ché il cuor gli gemeva nel petto:
«Ahimè!, millantatori, Achivi non piú, bensí Achive,
che macchia sarà questa, tremenda e assai piú che tremenda,
se niuno degli Achei contro Ettore ardisse pugnare?
Or tutti quanti possiate disperdervi in polvere ed acqua, 100senza coraggio qui, senza gloria restando seduti;
ed io contro costui pugnerò: delle pugne l’evento
tengono su, dall’Olimpo, i Numi che vivono eterni».
Come ebbe detto ciò, prese a cingere l’armi sue belle.
E qui giungeva il fine per te, Menelao, di tua vita, 105d’Ettore sotto le mani, che era di tanto piú forte,
se, per frenarti, in pie’ non balzavano i principi Achivi.
Primo il possente re, l’Atríde Agamènnone, ei stesso
la destra t’afferrò, ti parlò con alate parole:
«Di senno uscito sei, Menelao, caro alunno di Giove,