sí che tu possa a Giove libare ed agli altri Celesti,
prima, e tu stesso quindi ne beva, e ne tragga conforto: 260sai che ristora il vino le forze d’un uomo spossato,
come spossato sei tu coi tuoi, rintuzzando il nemico».
Ettore, il prode dall’elmo fulgente, cosí le rispose:
«Nobile madre, il vino soave di miel non offrirmi,
ch’io non mi stempri bevendo, ché oblio del valor non mi colga. 265Né con le mani impure libar vino limpido a Giove
io l’oserei: ché a Giove dai nugoli negri, le preci
volger non è concesso, bruttati di fango e di sangue.
Ma le matrone tu raccogli, ed al tempio d’Atena
récati, della Dea predatrice, con fumi d’incenso. 270E nelle stanze un peplo trascelto, il piú bello e il piú grande,
quello ch’è molto piú d’ogni altro diletto al tuo cuore,
ponilo su le ginocchia d’Atena dal fulgido crine;
e dodici giovenche prometti immolar nel suo tempio,
fulve, del pungolo ignare, ov’ella a pietà si commuova 275della città di Troia, dei teneri figli e le spose.
Muovi or tu dunque al tempio d’Atena, la Dea predatrice,
ed io mi recherò da Paride: voglio chiamarlo,
se per ventura il richiamo sentisse. Cosí l’inghiottisse
dove si trova, la terra: ché in lui Giove Olimpio ha creato 280per i Troiani, per Priamo, pei figli di Priamo, un flagello.
Se lo vedessi giú ne le case discender d’Averno,
quasi direi che il mio cuore dovesse obliare il suo pianto!».
Disse. Ed entrata in casa, la madre chiamava le ancelle,
che via per tutta Troia girando, adunar le matrone. 285Essa discese poi nel talamo tutto fragrante,
dov’eran chiusi i pepli di mille colori, tessuti
dalle donne sidonie. Da Sídone il vago Alessandro