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108-137 CANTO VI 137

immaginando che alcuno dei Numi del cielo stellato
fosse a soccorrerli sceso: sí fu quel restare improvviso.
     110Ettore allor, fra i Troiani, gridando, lanciò questo appello:
«O valorosi Troiani, di gloria famosi alleati,
uomini siate, amici, reggete ben saldi a la pugna,
sin ch’io mi rechi ad Ilio, per dire ai vegliardi e a le spose
ch’alzino preci ai Numi, promettano scelte ecatombi».
     115Ettore dunque, poi ch’ebbe ciò detto, partiva. E, movendo,
l’orlo di cuoio negro che tutto d’intorno girava
l’umbilicato scudo, batteva i calcagni ed il collo.
     Glauco, d’Ippòloco figlio, nel mezzo, e il figliuol di Tidèo,
d’ambe le parti convennero, entrambi bramosi di pugna.
120Or quando l’un contro l’altro movendo, già eran vicini,
primo a parlare prese l’ardito guerrier Dïomede:
«Da quale umana stirpe provieni tu mai, valoroso,
ch’io prima d’ora non t’ho visto mai nella nobile zuffa?
Ma ti sei fatto innanzi, ma tutti hai di molto or precorso.
125Nel tuo valore ben fidi, se attendi la lunga mia lancia:
ché la mia furia affronta soltanto chi nacque a sciagura.
Ma se tu fossi un Nume, se fossi disceso dal cielo,
io non combatterò davvero coi Numi celesti:
poiché neppur Licurgo, possente figliuol di Driante,
130a lungo visse, quando contese coi Numi immortali,
ei che le Ninfe, nutrici dell’ebro Diòniso, un giorno
cacciò pei gioghi santi di Nisa. Gittarono quelle
tutte i lor tirsi a terra, battute dal pungolo aguzzo
dell’omicida Licurgo: Diòniso, tutto sgomento,
135giú si tuffò nei flutti del mare; e lui pavido accolse
Teti nel grembo; e per gli urli del sire era tutto un tremore.
Ma si crucciaron con lui gli Dei dalla facile vita,