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779-808 CANTO V 125

scorge, spingendo l’occhio sul piano purpureo del mare,
770tanto i nitrenti divini corsieri percorron d’un salto.
Ma quando a Troia poi furon giunti, e ai due rapidi fiumi
dove le lor fluenti confondon Simèta e Scamandro,
qui pose fine al corso la Diva Giunone, dal carro
sciolse i cavalli, effuse d’intorno caligine densa;
775e germinò Simèta per essi dal suolo l’ambrosia.
E mossero le Dee, con trepido vol di colombe,
desiderose di dare soccorso agli Argivi guerrieri.
E, come poi fûr giunte là dove piú fitti e piú prodi
stavano intorno al Tidíde, maestro a domare cavalli,
780stretti, e parevan leoni che sbranino cruda la preda,
o forse apri selvaggi, di forza che mai non si fiacca,
qui stette, e un grido alzò la Diva Giunone; e d’aspetto
Stèntore prode sembrava, l’eroe dalla voce di bronzo,
che tanto alto gridava da solo, quanti altri cinquanta:
785«Vergogna, Argivi, belli d’aspetto, ma turpi di cuore!
Finché nelle battaglie moveva il divino Pelíde,
neppur sotto le porte dàrdanie, a pugnare i Troiani
erano arditi: tanto temevan l’orrenda sua lancia:
lungi dalla città pugnano ora, vicino alle navi».
     790Con tali detti, eccitò la furia d’ognuno e l’ardire.
Ed a cercar balzò, la Diva occhiazzurra, il Tidíde;
e quell’eroe trovò, che presso ai cavalli ed al cocchio
refrigerava la piaga che Pàndaro inflitta gli aveva.
Di sotto al bàlteo largo dell’ampio suo scudo rotondo,
795lo tormentava il sudore: patíva, la mano era stanca;
e, sollevato il bàlteo, tergevasi i grumi del sangue.
La Dea poggiò la mano sull’orlo del carro, e gli disse:
«Poco simile a sé Tidèo generato ha suo figlio!