Ettore. E mosse, terrore dei Dànai, nel lucido bronzo, 680verso le prime file. Sarpèdone figlio di Giove
fu lieto come ei giunse, levò queste voci dogliose:
«Figlio di Priamo, presto, non far che agli Argivi io rimanga
abbandonato! A me porgi aiuto: e poi, morte mi colga
dentro la vostra città, se proprio non era destino 685ch’io ritornassi alla casa mia cara, alla terra materna,
ad allegrar la sposa diletta, ed i teneri figli!».
Disse cosí. Ma Ettore nulla rispose; e trascorse
oltre, ché d’altra brama punto era: respinger lontano
gli Argivi, e quanti piú potesse, privar della vita. 690Ed i compagni fidi, Sarpèdone simile ai Numi
posero sotto il faggio bellissimo, sacro al Croníde;
e dalla coscia fuori la lancia di frassino estrasse
Pelàgone gagliardo, che gli era carissimo amico.
Gli venner meno i sensi, negli occhi una nebbia s’effuse; 695ma poi recuperò gli spiriti; e il soffio di Bora
rïanimò l’eroe, che a stento traeva il respiro.
D’Ettore intanto ai colpi, ai colpi di Marte, gli Argivi
né rivolgevano, ai negri navigli, fuggendo, le spalle,
né contro loro la zuffa spingeano. Cedean passo passo, 700quando ebber visto che Marte pugnava coi loro nemici.
A chi per primo, a chi per ultimo tolser la vita
Ettore quivi, figlio di Priamo, e il bronzeo Marte?
A Tëutrante divino, a Oreste maestro di carri.
E Treco ètolo cadde, maestro di lancia, Enomào, 705Èleno, figlio d’Enopio, e Oresbio dal fulgido cinto,
cúpido assai di ricchezze, che in Ile abitare soleva,
sovra le ripe del fiume Cefisio, e molti altri Beoti
presso abitavano a lui, su quelle pinguissime terre.