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non reputarti, no, ché uguali non sono le stirpi
440degli immortali Numi, di quelli che vivono in terra».
     Cosí diceva. Indietro di poco si fece il Tidíde,
per evitare la furia del Dio che da lungi saetta.
E Febo allora Enea depose lontan dalla zuffa,
in Pèrgamo, dov’è costrutto il suo tempio, ed è sacra.
445Artèmide, la Dea che lancia saette, e Latona,
nel grande àdito qui lo tornarono sano e gagliardo.
E Apollo, il Dio dall’arco d’argento, una immagine estrusse
simile in tutto ad Enea d’aspetto, ed uguale nell’armi.
E qui, dunque, Troiani d’intorno all’immagine, e Achei,
450sui petti gli uni agli altri colpivan gli usberghi di pelle,
gli ampii rotondi palvesi, gli scudi piú lievi di piuma.
     E cosí disse a Marte tutto impeto Apolline Febo:
«Marte, Marte, sterminio di genti, assetato di sangue,
espugnatore di rocche, non vuoi trattenere il Tidíde
455dalla battaglia, che sino con Giove oserebbe pugnare?
Cipride or ora assalí, nel carpo ferí della mano,
quindi piombò su me medesimo, e un Nume pareva!».
     Cosí detto, sede’ di Pèrgamo in cima alla rocca.
E il truce Marte andò fra le schiere troiane, a eccitarle,
460e assunte avea le forme del sire dei Traci, Acamante
veloce; e disse ai figli di Priamo, alunni di Giove:
«E sino a quando, o figli di Priamo, alunni di Giove,
consentirete agli Achei che uccidano il popolo vostro?
Finché giunga la zuffa dinanzi alle solide porte?
465L’uomo è caduto a cui tutti solevano rendere onore
pur come ad Ettore, giace d’Anchise il magnanimo figlio.
Ora, su via, dal tumulto salviamo il gagliardo compagno!».
     Con questi detti eccitò la furia d’ognuno, e il coraggio.