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1io ILIADE 320-349

320anzi, i cavalli suoi solidunguli, tenne lontani
dall’estuar della zuffa, legando le redini al carro,
e si lanciò sui cavalli d’Enèa da le belle criniere,
e dai Troiani lungi li spinse, dov’eran gli Achivi,
a Dípilo li die’, suo compagno diletto, che caro
325gli era, fra quanti aveva compagni d’età, che concordi
spiriti aveva in cuore, perché li recasse alle navi.
Ed egli, poi, salí sul carro, le redini prese,
e furïoso i cavalli dal solido zoccolo spinse
verso il Tidíde. Questi col bronzo spietato inseguiva
330Cípride. Aveva inteso ch’ella era una Dea senza forze,
non già di quelle Dee che reggon le sorti di guerra,
non Enïò che le rocche distrugge, non Pallade Atena.
E come l’ebbe poi, dopo lungo inseguirla, raggiunta,
qui le si fece sopra il prode figliuol di Tidèo,
335e con la cuspide il sommo ferí della morbida mano.
Facile fu che il ferro la morbida mano forasse
traverso il peplo ambrosio che avevan tessuto le Grazie,
alla radice del palmo. E il sangue immortal della Diva
sprizzò, l’ícore, che per le vene dei Superi corre:
340per questo esangui pure son detti, son detti immortali.
Essa, lontano da sé, lasciò, con gridi alti, il figliuolo;
e lui tra le sue mani raccolse, a proteggerlo, Febo,
dentro una nuvola azzurra, ché niuno dei Dànai potesse
vibrargli dentro il seno la lancia, e levargli la vita.
345E un alto grido allora levò Dïomede gagliardo:
«Figlia di Giove, resta lontana da guerre e da zuffe.
Che non ti basta piú sedurre le femmine imbelli?
Però, se fra le zuffe vuoi pure aggirarti, ti dico
che inorridire, solo pel nome di guerra, dovrai»