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108 ILIADE 260-289

260la gloria a noi concede ch’entrambi io li uccida, tu lascia
questi cavalli qui, le redini al carro assicura;
e sui cavalli d’Enea avvèntati, e via dai Troiani
spingili a forza, verso gli Achivi. Ricordalo bene:
ché son di quella razza che Giove in compenso al re Tròo
265diede pel figlio suo Ganimede. Pertanto, i migliori
sono, fra quanti cavalli contemplano il Sole e l’Aurora:
Di questi, Anchise re la razza furò: di nascosto
ei sottopose le proprie puledre ai corsieri divini;
da quelle, sei cavalli gli nacquero nella sua reggia.
270Quattro li tenne per sé, li nutriva egli stesso alla greppia,
due ne diede ad Enea, maestro dell’orrida guerra.
Se noi li prenderemo, sarà gloria insigne la nostra».
     L’uno con l’altro, cosí scambiavano queste parole.
E presto giunser gli altri, spingendo i cavalli, a lor presso;
275e primo favellò di Licàone il fulgido figlio:
«Animo forte, cuore gagliardo, mirabil Tidíde,
il dardo mio, l’amara saetta, non valse a prostrarti:
adesso proverò con la lancia, se meglio io ti colgo».
     Disse, vibrò, scagliò la lunga sua lancia; e il Tidíde
280colpí sopra lo scudo. Fuor fuori la punta di bronzo
passò lo scudo a volo, raggiunse l’usbergo. A quel colpo
un grido alto levò di Licàone il fulgido figlio:
“Da parte a parte sei feríto, nell’anca; né penso
che a lungo reggerai: m’hai data non piccola gloria!».
285Ma non si sgomentò Dïomede, e cosí gli rispose:
«Fallito hai, ché feríto non sono; ma il campo lasciare
voi non potrete, prima che uno di voi non soccomba
e col suo sangue Marte, feroce guerriero, non plachi».
Detto cosí, la lancia scagliò. Guidò Pallade il colpo,