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io6 ILIADE 200-229

200Ma non seguii quel consiglio, che, pure, quanto era migliore!,
per risparmiare i cavalli, che a lor non mancasse il foraggio
entro la rocca assediata; ché a lauto cibo son usi.
A casa li lasciai cosí, venni a Troia pedone,
nell’arco mio fidando, che nulla doveva giovarmi:
205ché io già contro due dei primi ho lanciato due frecce,
contro il Tidíde, e contro l’Atríde; ed il sangue d’entrambi
feci sprizzare; ma poi li resi piú fieri alla pugna.
Con malo augurio l’arco ricurvo spiccai dal suo chiodo,
quel giorno ch’io partii, guidando alla guerra i miei Lici,
2ioverso l’amabile Troia, per far cosa ad Ettore grata.
Ma s’io ritornerò, se vedere potrò con questi occhi
la patria mia, la sposa, l’eccelsa, la bella mia casa,
súbito allora possa qualcuno mozzarmi la testa,
se io con queste mani quest’arco non spezzo, e lo gitto
215sopra la fiamma lucente; ché vana è la sua compagnia».
     E a lui di contro Enèa, signor dei Troiani, rispose:
«Non dire, no cosí: cambiar non potranno le cose,
prima che contro quest’uomo, tu ed io, coi cavalli e col carro
non ci avventiamo, e prova con lui non facciamo di forza.
220Sali sul carro mio, su, dunque, ché tu veda bene
quali i cavalli sono di Tròo, come sanno pel piano
velocemente qua, là, l’inimico incalzare, o fuggire:
ché in salvo alla città di nuovo condurci sapranno,
se Giove ancora vuole coprire di gloria il Tidíde.
225Su via, prendi la sferza, le lucide redini; ed io
giú scenderò dal carro, per farmegli contro alla zuffa:
oppure l’urto suo tu sostieni, ed io bado ai cavalli».
     E di Licàone a lui rispose il bellissimo figlio:
«Enèa, reggi tu, dunque, le lucide briglie e i cavalli: