20A terra Idèo balzò, lasciando il bellissimo cocchio,
né rimanere osò vicino al fratello caduto.
Ma neppur egli avrebbe sfuggita la livida Parca,
se nol traeva Efesto lontano, coprendolo d’ombra,
ché non piombasse troppo cordoglio sul vecchio suo padre. 25E Dïomede, cuore gagliardo, staccati i cavalli
dai carri, ai suoi compagni li die’, per recarli alle navi.
Ora i Troiani, poiché di Darete i due figli ebber visti
l’uno fuggiasco, l’altro caduto vicino al suo carro,
turbato ebbero il cuore. E Atena dagli occhi azzurrini, 30preso per mano Marte furente, cosí gli diceva:
«Marte, Marte, sterminio di genti, assetato di sangue,
espugnatore di rocche, perché non lasciam che da soli
pugnino Achivi e Troiani, che Giove dia gloria a chi vuole,
e noi stiamo in disparte, sfuggendo allo sdegno del padre?». 35E, cosí detto, trasse lontan dalla pugna il furente,
e su le ripe sedere lo fe’ dell’erboso Scamandro.
Fecero allora i Dànai piegare i Troiani. Ciascuno
dei duci uccise un uomo. Per primo Agamènnone Atríde,
gittò dal carro Odío, degli Alízoni il grande signore: 40ché mentre ei volta dava per primo, nel dorso gl’infisse
fra le due spalle l’asta, che uscire dal petto si vide.
Diede, cadendo, un tonfo, su lui rintronarono l’armi.
Idomenèo trafisse di Boro Meonio il figliuolo,
Faisto. Venuto egli era dai fertili campi di Tarne. 45Idomenèo, maestro di lancia, col frassino lungo
lo colse, mentre il cocchio saliva, su l’omero destro.
Piombò dal carro, e l’ombra di morte funesta lo avvolse:
d’Idomenèo gli amici spogliaron dell’armi il caduto.
E Menelao, figliuolo d’Atrèo, con la cuspide acuta