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Quivi al figliuol di Tidèo Dïomede, die’ Pallade Atena
tanto vigore e tanto coraggio, che insigne fra tutti
gli uomini d’Argo paresse, che grande ne fosse la gloria.
E balenar gli fece dall’elmo e lo scudo una fiamma
5simile all’astro che sorge d’Autunno, che piú d’ogni stella
fulgido appare, poiché s’è bagnato nei flutti del mare.
Tale dagli omeri a lui, dal capo bruciava una fiamma.
E si lanciò nel mezzo, dov’era piú fitta la zuffa.
Eravi qui, fra i Troiani, un certo Darète, opulento,
10d’Efèsto sacerdote, da biasimo immune: due figli
aveva, Idèo, Fegèo, maestri in ogni ordin di pugne.
Questi, dai loro compagni spiccatisi, entrambi sui carri
contro gli vennero; e a terra, pedone, movea Dïomede.
Or, come gli uni su l’altro movendo, già eran vicini,
15primo Fegèo la zagaglia lanciò, che gittava lunga ombra.
Giunse la punta a colpíre su l’omero manco il Tidíde,
né lo ferí. Secondo lanciò la zagaglia il Tidíde,
né vana l’asta uscí di sua mano: lo colse nel petto,
tra l’una e l’altra mamma, piombare lo fece dal carro.