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290-319 CANTO IV 87

     290E, cosí detto, qui lasciatili, ad altri si volse.
E Nèstore trovò, l’oratore dei Pilî facondo,
che disponeva a schiere, spronava i compagni alla zuffa;
e Pelagóne a lui d’intorno, ed Alàstore, e Cromio,
e col possente Emóne, Biante pastore di genti.
295I cavalieri avanti schierava coi carri e i cavalli,
ed i pedoni in coda piú forti, perché negli scontri
fossero baluardo: spingeva nel mezzo i piú fiacchi,
sicché, pur contro voglia, combatter ciascuno dovesse.
Ai cavalieri prima parlò: li esortò che i corsieri
300frenassero, perché non mettesser le turbe a scompiglio:
«Né per sfoggiare i cavalli veruno, o per troppo d’ardire
davanti ai suoi compagni s’avanzi a combattere solo;
né mai si faccia indietro: ché presto sarete allor vinti.
E chi, balzato giú dal suo carro, affrontar deve un carro,
305tenda allo scontro la lancia, ché meglio riesce la prova.
Cosí gli antichi nostri, con tale coraggio nel petto,
con tali accorgimenti, cittadi espugnavano e rocche».
     Dunque, cosí li eccitava l’antico maestro di guerra.
E molto s’allegrò Agamènnone re, che lo vide,
310e, a lui parlando, queste rivolse veloci parole:
«O vecchio, deh!, se forti cosí come il cuore nel petto
tu le ginocchia avessi, se avessi vigor nelle membra!
Ma la vecchiaia che niuno risparmia, or t’abbatte. Potesse,
deh!, prendersela un altro, lasciandoti il fiore degli anni!».
     315E a lui rispose il vecchio Gerenio, maestro di guerra:
«Anche io, di certo, anche io, tale essere, Atríde, vorrei,
qual fui quando il divino Ereutalïone trafissi;
ma tutti insieme i doni non offrono i Numi ai mortali:
giovine allora fui, m’opprime or la tarda vecchiaia.