260la parte sua; ma sempre son colmi il tuo calice e il mio,
dinanzi a noi, per bere, qualora ci venga la voglia.
Muovi alla pugna: e sii qual pure tu d’essere hai vanto».
Il duce Idomenèo rispose con queste parole:
«A te di certo, o figlio d’Atrèo, sarò fido compagno, 265come t’ho pur dianzi promesso e giurato; ma gli altri
eccita adesso tu chiomati guerrieri d’Acaia,
perché presto alla guerra si lancino. Han franto i Troiani
il giuramento: perciò li attendono morte e cordoglio,
quando essi han vïolato per primi la fede giurata». 270Cosí disse; e l’Atríde mosse oltre, gioendo nel cuore.
E giunse ove era un grande tumulto d’intorno agli Aiaci.
S’armavano essi entrambi: con loro di genti era un nembo.
Come allorché dall’alta vedetta montana, un capraro
vede una nube che avanza, da Zefiro spinta, sul mare; 275l’osserva egli, e da lungi piú negra gli par della pece,
mentre sui flutti corre, guidando furor di procelle:
l’invade un gelo, e dentro lo speco sospinge la greggia:
similemente i forti guerrieri nutriti da Giove
all’odiosa guerra moveano d’intorno agli Aiaci, 280fitte falangi brune, tutte irte di lancie e di scudi.
Li vide, s’allegrò nel cuore il figliuolo d’Atrèo,
e ad essi favellò, rivolse veloci parole:
«Aiaci, o condottieri d’Achei loricati di bronzo,
d’uopo non è ch’esorti voi due, né vi dica parola: 285bene sapete da voi le genti esortare a prodezza.
Deh!, Giove padre, e Dio che lungi saetti, ed Atena,
se tale tutti quanti nel seno chiudessero un cuore!
Allora sí, che presa dovrebbe cader, saccheggiata
sotto le nostre mani, la rocca di Priamo eccelsa!».