Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/140

230-259 CANTO IV 85

230e quanti degli Achei vedeva affrettarsi alla pugna,
ad essi la parola volgeva, cosí l’incorava:
«Non desistete, Achivi, dal cozzo furente di guerra,
ché non vorrà Giove padre proteggere mai gli spergiuri;
ma quelli che per primi spezzarono i patti giurati,
235dovranno gli avvoltoi sbranarne le membra disfatte,
e noi le spose ad essi dilette, ed i pargoli infanti
sopra le navi addurremo, poiché sarà Troia espugnata».
     Ma quanti poi vedesse lasciare la pugna funesta,
rampogne fiere ad essi volgeva, ed irose parole:
240«O prodi sol da lungi, pudor non avete, o codardi?
Perché siete cosí sbigottiti? Sembrate cervette,
che, quando molto han corso pei campi, si fermano stanche,
perché non hanno in petto coraggio: del pari sgomenti
siete rimasti voi, né piú combattete. I Troiani
245forse aspettate, che qui sian giunti, ove fanno riparo,
sopra la spiaggia del mare canuto le rapide navi?
Forse volete vedere se Giove su voi tien le mani?».
     Imperïoso, cosí girava fra tutte le schiere.
E giunse ov’era un grande tumulto di genti, e d’intorno
250al prode Idomenèo si stringevano in arme i Cretesi.
Idomenèo moveva fra i primi, e pareva un cinghiale
per la ferocia: spingeva Meríone l’ultime schiere.
Li vide, e si allegrò Agamènnone re degli Achivi,
e queste a Idomenèo veloci parole rivolse:
255«Te piú che i Dànai tutti maestri di prodi corsieri,
io pregio, Idomenèo, nella guerra, o in quale opra si voglia,
e nel banchetto, quando, raccolti i signori d’Acaia,
temprano dentro i cratèri il vino che annoso scintilla.
Perché degli altri Achivi chiomati, ciascuno tracanna