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408-446 CANTO III 73

e fra i Troiani e i Dànai non susciti lutti ad entrambi,
funesti, e tu perire ne debba di misera morte!».
     410Disse. Terrore invase la bella figliuola di Giove;
e mosse, ascoso il volto nel fulgido velo; né alcuna
delle Troiane la scorse; perché la guidava Afrodite.
Come poi d’Alessandro fûr giunte a la bella dimora,
súbito qui le ancelle tornarono ai loro lavori,
415ed Elena, la donna divina, nel talamo ascese.
E, per lei tolto un seggio, la Diva del riso, Afrodite,
la prese, la recò dinanzi al suo sposo Alessandro.
Quivi sede’ la figlia del Nume che l’ègida regge;
e, volti gli occhi altrove, cosí rampognava lo sposo:
     420«Tu dalla pugna giungi! Cosí fossi quivi caduto
sotto le mani dell’uomo che prima di te mi fu sposo!
Tu ti vantavi, prima, che tu Menelao superavi,
ch’era piú forte il tuo braccio, che meglio scagliavi la lancia!
Invita ancora, su’, Menelao prediletto di Marte,
425che voglia a faccia a faccia combattere teco; ma io
a non tentarlo piú, t’esorto, a non piú misurarti
con Menelao, né a stargli di fronte, con folle ardimento,
ché sotto la sua lancia tu presto non cada prostrato!».
     Ed Alessandro a lei rispose con queste parole:
430«Non voler battere, o donna, con dure parole il mio cuore.
Di Menelao, mercè d’Atena, fu or la vittoria:
un’altra volta, mia sarà: me pure amano i Numi.
Ma ora al nostro letto moviamo, ed all’opre d’amore:
ché mai, mai tanta brama di te non invase il mio seno,
435neppur la prima volta, quando io ti rapii da la bella
Sparta, e con te fuggii per mare, su l’agili navi,