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volti gli sguardi indietro: balzò d’Alessandro la sorte.
320Greci e Troiani allora sederono tutti in ischiere,
dove ciascuno aveva la bella armatura e i cavalli.
Ecco, e Alessandro divino, lo sposo dal fulgido crine
d’Elena, cinse l’armi sue belle d’intorno alle membra.
Prima d’intorno alle gambe si cinse i fulgenti schinieri,
325ch’erano da fermagli d’argento congiunti: sul petto
strinse poi la corazza non sua, del fratel Licaóne
era; ma ben gli era adatta. Sugli omeri quindi la spada
gittò, che l’elsa aveva cospersa di borchie d’argento.
Quindi lo scudo imbracciò, ch’era grande e massiccio, e sul capo
330fiero l’elmetto pose di fine lavoro, su cui
terribilmente ondeggiava la cresta d’equino cimiero:
poi la zagaglia prese, che il palmo gli empie’ della mano. —
E, parimenti, il pro’ Menelao si chiuse nell’armi.
     Poi che si furono armati cosí, nell’un campo e nell’altro
335mossero in mezzo alle due falangi d’Achivi e Troiani,
biechi rotando gli sguardi: rimasero tutti stupiti
i cavalieri troiani, gli Achei dai fulgenti schinieri.
Stettero l’uno all’altro vicini cosí nella lizza:
l’un contro l’altro d’odio furenti, squassar le zagaglie.
340Ed Alessandro primo scagliò la sua lunga zagaglia,
e Menelao colpí sovresso lo scudo rotondo.
Ma non lo franse, però: ché indietro si torse la punta,
contro lo scudo saldo. Secondo la punta di bronzo
lanciò l’Atríde, a Giove cosí la preghiera volgendo:
345«Giove, fa’ tu ch’io possa punire Alessandro, che primo
di scorno mi coprí: tu abbattilo sotto i miei colpi,
sicché pur tra le genti venture, ciascuno abbia orrore
di fare torto a chi gli offerse amicizia ed ospizio».