però che in Troia Ulisse divino una volta pur venne 200ambasciatore, per te dimandare, col pro’ Menelao.
Ospiti furono a me graditi, li accolse il mio tetto,
sicché bene conobbi d’entrambi l’aspetto, e la mente.
E quando furon poi fra i Troiani raccolti a concione,
sinché stavano in piedi, piú alto di tutta la spalla 205era l’Atríde: seduti, pareva piú nobile Ulisse.
Quando parlarono poi, svelarono i loro pensieri,
diceva Menelao parole veloci e confuse,
a voce acuta, e scarse, ché molto non era eloquente:
non senza senno, però, sebbene ancor giovine fosse. 210Ma quando in pie’ balzava, Ulisse lo scaltro a parlare,
immoto stava, e in giú guardava, figgea le pupille
a terra, non piegava lo scettro né innanzi né indietro,
lo tenea saldo e fermo: pareva uno zotico: detto
l’avresti un dissennato, che poco valesse di mente. 215Ma quando poi dal seno lanciava la voce sonora
e le parole, che neve sembravan che fiocchi d’inverno,
uomo non c’era allora che Ulisse potesse emulare,
né allor piú badavamo qual fosse l’aspetto d’Ulisse».
Quindi, per terzo Aiace vedendo, chiedeva il vegliardo: 220«E chi è mai quell’altro guerriero membruto e gagliardo,
che con la testa gli Achivi soverchia, e con l’ampie sue spalle?».
E disse a lui la donna divina dal peplo elegante:
«L’immane Aiace egli è, baluardo di tutti gli Achivi.
Idomenèo sta piú oltre, che onorano al pari d’un Nume 225in Creta: attorno a lui s’affollano i duci cretesi.
Sovente l’ospitò Menelao prediletto da Marte
entro le nostre mura, quand’egli giungeva da Creta.
E tutti gli altri Achei dagli occhi fulgenti io distinguo,