la mia tenera figlia, le mie predilette compagne. 170Ma questo non avvenne; perciò mi distruggo nel pianto.
Ed ora ti dirò ciò che tu vuoi sapere e mi chiedi.
Quegli è Agamènnone, il re possente, figliuolo d’Atrèo,
saggio sovrano, e insieme gagliardo nell’urto di guerra.
Era cognato mio, se, cagna ch’io son, ne fui degna». 175Cosí disse; e il vegliardo stupí, disse queste parole:
«Atríde, oh te beato, cui riser la Parca ed i Numi!
Sotto il tuo scettro, quanti si chinano figli d’Achivi!
Io sono stato una volta in Frigia ferace di vigne,
e tanti e tanti Frigi vid’io, di cavalli maestri, 180vidi le genti d’Otrèo, di Mígdone simile ai Numi,
che combattevano presso le sponde del Sàngaro; ed io,
loro alleato, con essi movevo in ischiera, quel giorno
che qui venner le Amazzoni agli uomini infeste; ma tanti
non eran, quanti sono gli Achivi dal fulgido sguardo». 185Poscia, veduto Ulisse, cosí domandava il vegliardo:
«Dimmi anche questo, figlia mia cara: chi è quel guerriero
ch’è d’Agamènnone Atríde piú basso di tutta la testa,
però piú largo sembra di petto, piú largo di spalle?
Giacciono l’armi sue su le zolle del fertile suolo, 190ed ei, pari a un montone, s’aggira su e giú per le schiere:
simile ad un montone villoso davvero mi sembra,
che in mezzo ad un gran branco di pecore bianche s’aggiri».
Elena a lui, la figlia di Giove, die’ tale risposta:
«Ulisse è quegli, mente sagace, figliuol di Laerte, 195che nacque e fu nutrito fra il popolo d’Itaca alpestre,
e d’ogni inganno, d’ogni sottile pensiero è maestro».
E a lei queste parole Antènore saggio rivolse:
«O donna, a verità rispondono certo i tuoi detti: