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64 ILIADE 139-168

E presto furon giunte vicino alle porte Sceèe.
140Quivi, d’intorno a Priamo, a Panto, a Lampóne, a Timàte,
a Clizio, a Ichetaóne, rampollo diletto di Marte,
Ucalegonte sedeva, e Antènore pieno di senno.
Presso alle porte Sceèe, sedevano questi vegliardi,
lontani dalla guerra per gli anni, ma buoni oratori,
145simili a cicalette, che agli alberi in vetta posando,
effondon per la selva la voce piú pura del giglio.
Sedean sopra la torre cosí questi duci di Troia.
Ed essi, come vider che verso la torre moveva
Elena, l’uno all’altro rivolsero alate parole:
150«Biasimo no, non è, pei Troiani e gli Achivi guerrieri,
se per tal donna tanti patíscono lunghi travagli:
troppo l’aspetto suo somiglia alle Dive immortali!
Ma pure, anche cosí, cosí bella, ritorni a le navi,
e ai figli nostri e a noi retaggio non lasci di pianto!»
     155Cosí diceano; e Priamo ad Elena volse la voce:
«Vien pure avanti, siedi vicino a me, figlia mia,
ché tu veda l’antico tuo sposo, e i congiunti, e gli amici.
Colpevole non sei tu: colpevoli sono i Celesti,
che suscitâr contro me degli Atrídi la guerra funesta.
160Il nome di quell’uomo dimmi ora, di forme giganti,
chi mai sia quell’Acheo, sí nobil d’aspetto, e sí grande.
Altri potrà soverchiarlo del capo, aver membra piú salde;
però questi occhi mai non videro altr’uomo sí bello,
né maestoso cosí: mi sembra, a vederlo, un sovrano».
     165Ed Elena divina con queste parole rispose:
«Suocero caro, io provo per te riverenza e timore.
Cosí la mala morte colpíta m’avesse, quand’io
qui col tuo figlio venni, lasciando il mio sposo, gli amici,