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46 ILIADE 560-588

560e Sicïone, ond’ebbe Adrasto per primo lo scettro,
e quelli d’Iperèsia, con quelli de l’alta Gonessa
e di Pellène, e quelli che intorno abitavano ad Egio,
sopra l’Egíalo tutto, e ad Èlica vasta d’intorno.
Cento navi di questi guidava Agamènnone, il figlio
565d’Atrèo possente: seco le genti piú fitte e piú prodi
eran venute; e, chiuso nel fulgido bronzo, fra loro
ei primeggiava, e andava distinto fra tutti gli eroi,
ch’era il piú prode, e aveva con sé maggior copia di genti.
     Ed altri ne mandò Lacedèmone cinta di balze
570concave, e Fari, e Sparta, e Messène, città di colombe.
Ed altri da Brisèa, dall’amabile Augèa, dalla rocca
d’Elo venian, ch’eccelsa si leva sul mare, e da Amícla;
e questi Laia, quelli tenevano d’Òitilo i campi.
A questi Menelao, fratel dell’Atríde, era duce:
575avean sessanta navi. S’armarono tutti in disparte.
Movea fra loro il duce, sicuro nel proprio coraggio,
e li spingeva alla zuffa: ché il cuore gli ardeva di brama
di vendicare le smanie patíte per Elena, e i crucci.
     E quei che aveano in Pilo soggiorno, e in Arène la bella
580e in Àipo ben costrutta, e in Trio, sul passaggio d’Alfeo,
e quei d’Amfigenía, di Ciparissenta, di Ptelio,
e quei d’Elo, e di Dorio, là dove le Muse, incontrato
Tamíri, il tracio vate, che qui dalla casa d’Euríto
d’Oïcalía giungeva, sul labbro gli spensero il canto,
585perché vantato s’era che vinta egli avrebbe la gara,
pure se avesser cantate le Muse figliuole di Giove.
Esse, adirate, cieco lo resero, e il canto divino
tolsero a lui, della cetra scordare gli fecero l’arte.