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v.117 libro quarto 87

Su via dunque, dardeggia il burbanzoso
Atride, e al licio saettante Apollo
Prometti che, tornato al patrio tetto
Nella sacra Zeléa, darai di scelti120
Primogeniti agnelli un’ecatombe.
   Così disse Minerva, e dello stolto
Persuase il pensier. Diè mano ei tosto
Al bell’arco, già spoglia di lascivo
Capro agreste. L’aveva egli d’agguato,125
Mentre dal cavo d’una rupe uscía,
Colto nel petto, e su la rupe steso
Resupino. Sorgevano alla belva
Lunghe sedici palmi su l’altera
Fronte le corna. Artefice perito130
Le polì, le congiunse, e di lucenti
Anelli d’oro ne fregiò le cime.
Tese quest’arco, e dolcemente a terra
Pandaro l’adagiò. Dinanzi a lui
Protendono le targhe i fidi amici,135
Onde assalito dagli Achei non vegna,
Pria ch’egli il marzio Menelao percuota.
Scoperchiò la faretra, ed un alato
Intatto strale ne cavò, sorgente
Di lagrime infinite. Indi sul nervo140
L’adattando promise al licio Apollo
Di primonati agnelli un’ecatombe
Ritornato in Zeléa. Tirò di forza
Colla cocca la corda, alla mammella
Accostò il nervo, all’arco il ferro, e fatto145
Dei tesi estremi un cerchio, all’improvviso
L’arco e il nervo fischiar forte s’udiro,
E lo strale fuggì desideroso
Di volar fra le turbe. Ma non fûro
Immemori di te, tradito Atride,150