Potrai dell’alba all’apparir vederlo,
E via portarlo. Si rivolga adesso
Alla mensa il pensier, ch’anco l’afflitta
Níobe del cibo ricordossi il giorno
Che dodici figliuoi morti le furo,765
Sei del leggiadro e sei del forte sesso,
Tutti nel fior di giovinezza. Ai primi
Recò morte Dïana, ed ai secondi
Il saettante Apollo, ambo sdegnati
Che Níobe ardisse all’immortal Latona770
Uguagliarsi d’onor, perchè la Dea
Sol di due parti fu feconda, ed essa
Di ben molti di più. Ma i molti furo
Dai due trafitti. Nove volte il Sole
Stesi li vide nella strage, e nullo775
Fu che di poca terra li coprisse,
Perchè converso in dure pietre avea
Giove la gente. Alfin lor diero i numi
Nella decima luce sepoltura.
Stanca la madre del suo molto pianto,780
Non fu schiva di cibo. Or poi fra i sassi
Del Sipilo deserti, ove le stanze
Son delle Ninfe che sul verde margo
Danzano d’Acheléo, cangiata in rupe
Sensibilmente ancor piagne, e in ruscelli785
Sfoga l’affanno che gli Dei le diero.
E noi pure, o divin vecchio, pensiamo
Al nutrimento. Ritornato poscia
Col figlio a Troia, il piangerai di nuovo,
Chè molto è il pianto che ti resta ancora.790
Così detto, levossi frettoloso,
E un’agnella sgozzò di bianco pelo.
La scuoiaro i compagni, e acconciamente
L’apprestâr minuzzandola con molta