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v.659 libro ventesimoquarto 313

Hai tu di ferro il core? Or via, ti siedi,
E diam tregua a un dolor che più non giova.660
Liberi i numi d’ogni cura al pianto
Condannano il mortal. Stansi di Giove
Sul limitar due dogli, uno del bene,
L’altro del male. A cui d’entrambi ei porga,
Quegli mista col bene ha la sventura.665
A cui sol porga del funesto vaso,
Quei va carco d’oltraggi, e lui la dura
Calamitade su la terra incalza,
E ramingo lo manda e disprezzato
Dagli uomini e da’ numi. Ebbe Peléo670
Al nascimento suo molti da Giove
Illustri doni. Ei ricco, egli felice
Sovra tutti i viventi, il regno ottenne
De’ Mirmidóni, e una consorte Diva
Benchè mortale. Ma lui pure il nume675
D’un disastro gravò. Nell’alta reggia
Prole negògli del suo scettro erede,
Nè gli concesse che di corta vita
Un unico figliuolo, ed io son quello;
Io che di lui già vecchio esser non posso680
Dolce sostegno, e negl’ilíaci campi
Seggo lontano dalla patria, infesto
A’ tuoi figli e a te stesso. E te pur anco
Udimmo un tempo, o vecchio, esser beato
Posseditor di quanta hanno ricchezza685
Lesbo sede di Mácare, e la Frigia
Ed il lungo Ellesponto. All’opulenza
Di queste terre numerosi figli
La fama t’aggiungea. Ma poichè i numi
In questa guerra ti cacciâr, meschino!690
Ch’altro vedesti intorno alle tue mura
Che perpetue battaglie e sangue e morti?