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Giacea su i fianchi, or prono, ora supino;
Poi di repente in piè balzato errava15
Mesto sul lido. E quando i campi e l’onde
Illumina l’Aurora, egli di nuovo,
Aggiogati i corsier, di retro al cocchio
Ettore avvince, e trattolo tre volte
Di Pátroclo dintorno al monumento,20
A riposar si torna entro la tenda,
Boccon lasciando nella polve steso
L’esangue corpo. Ma del morto eroe
Impietosito Apollo ogni bruttura
Ne tien rimossa, e tutto coll’aurata25
Egida il copre, perchè nulla offesa
Lo strascinato corpo ne riceva.
   Visto del divo Ettór lo strazio indegno,
Pietà ne venne ai fortunati Eterni,
E il vegliante Argicida ad involarlo30
Incitando venían. Questo di tutti
Era il vivo desío, ma non di Giuno,
Nè di Nettunno, nè dell’aspra vergine
Dall’azzurre pupille. Alto riposta
Nella mente sedea di queste Dive35
Di Paride l’ingiuria, e la sprezzata
Lor beltade quel dì che a lui venute
Nel suo tugurio, ei preferì lor quella
Che di funesto amor contento il fece.
Quindi l’odio immortal delle superbe40
Contro le sacre ilíache mura, e Príamo
E tutta insieme la dardania gente.
Ma il duodecimo sole apparso al mondo,
Febo agli Eterni così prese a dire:
   Numi crudeli, che vi fece Ettorre?45
Forse che su gli altari a voi non arse
E di mugghianti e di lanosi armenti