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v.525 libro ventesimoterzo 275

Scappan di molto, perocchè Minerva525
Gli afforza, e vincitor vuole il Tidíde.
   Vien dopo questi Menelao cui preme
Di Néstore il figliuol che confortando
I paterni destrier, grida: Correte,
Stendetevi prestissimi: non io530
Già vi comando gareggiar con quelli
Del forte Dïoméde, a’ quai Minerva
Diè l’ali al piede, e a lui la palma: solo
Raggiungete l’Atride, e non soffrite
Restando addietro, ch’Eta, una giumenta,535
Vi sorpassi di corso e disonori.
Che lentezza s’è questa? ov’è l’antica
Vostra prestanza? Io lo vi giuro, e il giuro
S’adempirà; se pigri un premio vile
Riporterem, negletti, anzi trafitti540
Da Néstore sarete. Or via, volate,
Ch’io di astuzia giovandomi senz’erro
Trapasserò l’Atride nello stretto.
   Antíloco sì disse, e quei temendo
Le sue minacce rinforzaro il corso;545
Ed ecco dopo poco il passo angusto
Del concavo cammin. V’era una frana
Ove l’acqua invernal, raccolta in copia,
Dirotta avea la strada, e tutto intorno
Affondato il terren. Per quella parte550
Si drizzava l’Atride, onde il concorso
Ischivar delle bighe. Ivi si spinse
Antíloco pur esso; e devïando
Dalla carriera un cotal poco, e forte
Flagellando i corsier, lo stringe, e tenta555
Prevenirlo. Temettene l’Atride,
E gridò: Dove vai, pazzo? rattieni,
Antíloco, i destrier: stretta è la via.