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v.387 libro ventesimosecondo 249

Ciò detto, scintillar dalla vagina
Fe’ la spada che acuta e grande e forte
Dal fianco gli pendea. Con questa in pugno
Drizza il viso al nemico, e si disserra390
Com’aquila che d’alto per le fosche
Nubi a piombo sul campo si precipita
A ghermir una lepre o un’agnelletta:
Tale, agitando l’affilato acciaro,
Si scaglia Ettorre. Scagliasi del pari395
Gonfio il cor di feroce ira il Pelíde
Impetuoso. Gli ricopre il petto
L’ammirando brocchier: sovra il guernito
Di quattro coni fulgid’elmo ondeggia
L’aureo pennacchio che Vulcan v’avea400
Sulla cima diffuso. E qual sfavilla
Nei notturni sereni in fra le stelle
Espero il più leggiadro astro del cielo;
Tale l’acuta cuspide lampeggia
Nella destra d’Achille che l’estremo405
Danno in cor volge dell’illustre Ettorre,
E tutto con attenti occhi spïando
Il bel corpo, pon mente ove al ferire
Più spedita è la via. Chiuso il nemico
Era tutto nell’armi luminose410
Che all’ucciso Patróclo avea rapite.
Sol, dove il collo all’omero s’innesta,
Nuda una parte della gola appare,
Mortalissima parte. A questa Achille
L’asta diresse con furor: la punta415
Il collo trapassò, ma non offese
Della voce le vie, sì che precluso
Fosse del tutto alle parole il varco.
Cadde il ferito nella sabbia, e altero
Sclamò sovr’esso il feritor divino:420