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248 iliade v.353

Ma cinguettiero, chè con vani accenti
Atterrirmi ti speri, e nella mente
Addormentarmi la virtude antica.355
Ma nel dorso tu, no, non pianterai
L’asta ad Ettorre che diritto viene
Ad assalirti, e ti presenta il petto;
Piantala in questo se t’assiste un Dio.
Schiva intanto tu pur la ferrea punta360
Di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corpo
Seppellir tutta quanta, e della guerra
Ai Teucri il peso allevïar, te spento,
Te lor funesta principal rovina.
   Disse, e l’asta di lunga ombra squassando,365
La scagliò di gran forza, e del Pelíde
Colpì senza fallir lo smisurato
Scudo nel mezzo. Ma il divino arnese
La respinse lontan. Crucciossi Ettorre,
Visto uscir vano il colpo, e non gli essendo370
Pronta altra lancia, chinò mesto il volto,
E a gran voce Dëífobo chiamando,
Una picca chiedea: ma lungi egli era.
Allor s’accorse dell’inganno, e disse:
Misero! a morte m’appellâr gli Dei.375
Credeami aver Dëífobo presente;
Egli è dentro le mura, e mi deluse
Minerva. Al fianco ho già la morte, e nullo
V’è più scampo per me. Fu cara un tempo
A Giove la mia vita, e al saettante380
Suo figlio, ed essi mi campâr cortesi
Ne’ guerrieri perigli. Or mi raggiunse
La negra Parca. Ma non fia per questo
Che da codardo io cada: periremo,
Ma glorïosi, e alle future genti385
Qualche bel fatto porterà il mio nome.