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v.184 libro decimonono 185

Tuo ragionar. Io giurerò dall’imo
Cuor, nè dinanzi al Dio sarò spergiuro.185
Ma tempri Achille del pugnar la foga
Sino che giunga il donativo; e il sangue
Della vittima fermi il giuramento,
Qui presenti voi tutti. Or tu medesmo
Vanne, Ulisse, e trascelto, io tel comando,190
De’ primi achivi giovinetti il fiore,
Reca i doni promessi e le donzelle;
E Taltíbio mi cerchi e m’apparecchi
Un cinghial da svenarsi a Giove e al Sole.
   Inclito Atride, gli rispose Achille,195
Serbar si denno queste cose al tempo
Che dall’armi avrem posa, e che non tanto
Sdegno m’infiammi. Giacciono squarciati
Nella polve gli eroi che spense Ettorre
Favorito da Giove, e voi ne fate200
Ressa di cibo? Io, qual si trova, all’armi
Senza ritardo il campo esorterei,
E vendicato l’onor nostro, allegre
Cene abbondanti appresterei la sera.
Non verrà cibo al labbro mio nè beva,205
S’ulto pria non vedrò l’estinto amico.
D’acuto acciar trafitto egli mi giace
Nella tenda co’ piè volti all’uscita,
E gli fan cerchio i suoi compagni in pianto.
Non altro è dunque il mio pensier che strage210
E sangue, e il cupo di chi muor sospiro.
   E Ulisse a lui: Fortissimo Pelíde,
Tu nell’asta me vinci, io te nel senno,
Perchè pria nacqui, e più imparai. Fa dunque
Di quetarti al mio detto. Umano core215
Presto si sazia di conflitti in cui
Molto miete l’acciar, poco raccoglie