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v.48 libro decimonono 181

Barcollanti v’andaro anche i due prodi
Dïomede ed Ulisse, per le gravi
Piaghe all’asta appoggiati, e ne’ primieri50
Seggi adagiârsi. Ultimo giunse il sommo
Atride, in forte mischia ei pur dal telo
Di Coon Antenóride ferito.
Tutti adunati, Achille surse e disse:
   Atride, a te del par che a me saría55
Meglio tornato che tra noi non fusse
Mai surta la fatal lite che il core
Sì ne rôse a cagion d’una fanciulla.
Dovea Dïana saettarla il giorno
Ch’io saccheggiai Lirnesso, e mia la feci,60
Chè tanti non avrían trafitti Achivi,
Mentre l’ira io covai, morso il terreno.
Ettore e i Teucri ne gioîr, ma lunga
Rimarrà tra gli Achei, credo, ed amara
De’ nostri piati la memoria. Or copra65
Obblío le andate cose, e il cor nel petto
Necessità ne domi. Io qui depongo
L’ira, nè giusto è ch’io la serbi eterna.
Tu ridesta le schiere alla battaglia.
Vedrò se i Teucri al mio venir vorranno70
Presso le navi pernottar. Di gambe,
Spero, fia lesto volentier chïunque
Potrà sottrarsi in campo alla mia lancia.
   Disse: e gli Achivi giubilâr vedendo
Alfin placato il generoso Achille.75
Surse allora l’Atride, e dal suo seggio,
Senza avanzarsi, favellò: M’udite,
Eroi di Grecia, bellicosi amici,
Nè turbate il mio dir, chè lo frastuono
Anche il più sperto dicitor confonde.80
E chi far mente, chi parlar potrebbe