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v.524 libro decimottavo 169

Dell’inclito Vulcan moglie vezzosa:
Per man la strinse, e il roseo labbro aprendo,525
Qual, le disse, cagione, o bella Teti,
Ti guida inaspettata a queste case?
Rado suoli onorarle, e nondimeno
Sempre cara vi giungi e riverita.
Inóltrati, perch’io pronta t’appresti530
Le vivande ospitali. - E sì dicendo,
La bellissima Dea l’altra introdusse,
E in un bel seggio collocolla, ornato
D’argentee borchie a lavorío gentile
Col suo sgabello al piede. Indi a chiamarne535
Corse l’esimio fabbro, e sì gli disse:
Vieni, Vulcan, chè ti vuol Teti. - Ed egli:
   Venerevole Diva e d’onor degna
Nella casa mi venne. Ella malconcio
E afflitto mi salvò quando dal cielo540
Mi feo gittar l’invereconda madre,
Che il distorto mio piè volea celato;
E mille allor m’avrei doglie sofferto
Se me del mar non raccogliean nel grembo
Del rifluente Océano la figlia545
Eurínome e la Dea Teti. Di queste
Quasi due lustri in compagnia mi vissi,
E di molte vi feci opre d’ingegno,
Fibbie ed armille tortuose e vezzi
E bei monili, in cavo antro nascoso550
A cui spumante intorno ed infinita
D’Oceán la corrente mormorava;
Nè verun di mia stanza avea contezza,
Nè mortale nè Dio, tranne le belle
Mie servatrici. Or poichè Teti è giunta555
Alla nostra magion, piena le voglio
Render mercè del benefizio antico.