Pagina:Iliade (Monti).djvu/475

142 iliade v.625

Lasciarne i reggitor. Stolti! chè l’asta625
D’Automedonte sanguinosa avría
Lor preciso il ritorno. Egli, invocato
Giove, nell’imo si sentì del petto
Correr la forza e l’ardimento. Quindi
All’amico drizzò queste parole:630
   Alcimedonte, non tener lontani
Dal mio fianco i destrier: fa ch’io ne senta
L’anelito alle spalle. Al suo furore
Ettore modo non porrà, mi penso,
Se pria d’Achille in suo poter non mette635
I chiomati destrier, noi due trafitti,
E sbaragliate degli Achei le file;
O se tra’ primi ei pur freddo non cade.
   Agli Aiaci, ciò detto, e a Menelao
Ei grida: Aiaci, Menelao, lasciate640
Ai più prodi del morto la difesa,
E il rintuzzar gli ostili assalti; e voi
Qua correte a salvar noi vivi ancora.
I due più forti eroi troiani, Ettorre
Ed Enea, furibondi a lagrimosa645
Pugna vêr noi discendono. L’evento
Su le ginocchia degli Dei s’asside.
Sia qual vuolsi, farò di lancia un colpo
Io pur: del resto avrà Giove il pensiero.
   Sì dicendo, e la lunga asta vibrando,650
Ferì d’Aréto nel rotondo scudo,
Cui tutto trapassò speditamente
Le ferrea punta, e traforato il cinto,
L’imo ventre gli aperse. A quella guisa
Che robusto garzon, levata in alto655
La tagliente bipenne, fra le corna
Di bue selvaggio la dechina, e tutto
Tronco il nervo, la belva morta cade: