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v.183 libro decimosettimo 129

Col sempre battagliar contro il nemico.
Sciaurato! e qual dunque avrai tu cura
De’ minori guerrier, tu che lasciasti185
Preda agli Argivi Sarpedon, che mentre
Visse, a Troia fu scudo ed a te stesso?
E ti sofferse il cor d’abbandonarlo
Allo strazio de’ cani? Or se a mio senno
Faranno i Licii, partiremci, e tosto;190
E d’Ilio apparirà l’alta ruina.
Oh! s’or fosse ne’ Troi quella fort’alma,
Quell’intrepido ardir che ne’ conflitti
Scalda gli amici della patria veri,
Noi dentr’Ilio trarremmo immantinente195
Di Patroclo la salma. Ove un cotanto
Morto, sottratto dalla calda pugna,
Strascinato di Prïamo ne fosse
Dentro le mura, renderían gli Achei
Di Sarpedonte le bell’armi e il corpo200
Pronti a tal prezzo. Perocchè l’ucciso
Di quel forte è l’amico che di possa
Tutti avanza gli Argivi, e schiera il segue
Di bellicosi. Ma del fiero Aiace
Tu non osasti sostener lo scontro205
Nè lo sguardo fra l’armi, e via fuggisti,
Perchè minore di valor ti senti.
   Con bieco piglio fe’ risposta Ettorre:
Perchè tale qual sei, Glauco, favelli
Così superbo? Io ti credea per senno210
Miglior di quanti la feconda gleba
Della Licia nudrisce. Or veggo a prova
Che tu se’ stolto, se affermar t’attenti
Che d’Aiace lo scontro io non sostenni.
Nè la pugna io, no mai, nè il calpestío215
De’ cavalli pavento, ma di Giove

Iliade, Vol. II 9