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v.456 libro decimosesto 99

E netto l’osso ne recise. Ei cadde
Fragoroso, e l’avvolse eterna notte.
Da due germani i due germani uccisi
Così n’andaro a Dite, ambo valenti
Di Sarpedon compagni, ambo famosi460
Lanciatori, figliuoi d’Amisodaro
Che la Chimera, insuperabil mostro
Di molte genti esizio, un dì nudriva.
   Aiace d’Oiléo sovra Cleóbolo
Correndo impetuoso il piglia vivo465
Nella calca impacciato, e via sul collo
L’enorme daga calando lo scanna.
Si tepefece per lo sangue il ferro;
E la purpurea morte e il vïolento
Fato le luci gli occupò per sempre.470
   S’azzuffâr Lico e Peneléo: ma in fallo
Trasser ambo le lance. Allor più fieri
Dier mano al brando. Del chiomato elmetto
Lico il cono percosse: ma la spada
Si franse all’elsa. All’avversario il ferro475
Assestò Peneléo sotto l’orecchio,
E tutto ve l’immerse. Penzolava
In giù la testa dispiccata, e sola
Tenea la pelle. Così cadde e giacque.
   Merïon velocissimo correndo480
Acamante raggiunse appunto in quella
Che il cocchio ei monta, e al destro omero il fere.
Ruinò quel percosso dalla biga,
E morte gli tirò su gli occhi il velo.
   Idomenéo la lancia nella bocca485
D’Erimanto cacciò. La ferrea cima
Apertasi la via sotto il cerébro
Rïuscì per la nuca, spezzò l’osso
Del gorgozzule, e sgangherògli i denti;