Lungi dall’armi, e sol dell’armi il suono
E delle pugne il grido egli sospira.
Rifulse alfin la dodicesma aurora,
E tutti di conserva al ciel gli Eterni655
Fean ritorno, ed avanti iva il re Giove.
Memore allor del figlio e del suo prego,
Teti emerse dal mare, e mattutina
In cielo al sommo dell’Olimpo alzossi.
Sul più sublime de’ suoi molti gioghi660
In disparte trovò seduto e solo
L’onniveggente Giove. Innanzi a lui
La Dea s’assise, colla manca strinse
Le divine ginocchia, e colla destra
Molcendo il mento, e supplicando disse:665
Giove padre, se d’opre e di parole
Giovevole fra’ numi unqua ti fui,
Un mio voto adempisci. Il figlio mio,
Cui volge il fato la più corta vita,
Deh m’onora il mio figlio a torto offeso670
Dal re supremo Agamennón, che a forza
Gli rapì la sua donna, e la si tiene.
Onoralo, ti prego, olimpio Giove,
Sapientissimo Iddio; fa che vittrici
Sien le spade troiane, infin che tutto675
E doppio ancora dagli Achei pentiti
Al mio figlio si renda il tolto onore.
Disse; e nessuna le facea risposta
Il procelloso Iddio; ma lunga pezza
Muto stette, e sedea. Teti il ginocchio680
Teneagli stretto tuttavolta, e i preghi
Iterando venía: Deh parla alfine;
Dimmi aperto se nieghi, o se concedi;
Nulla hai tu che temer; fa ch’io mi sappia
Se fra le Dee son io la più spregiata.685