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v.461 libro duodecimo 307

Alla torre arrivâr di Menestéo:
Ed entrâr nella zuffa, appunto in quella
Che a negro turbo simiglianti i duci
Animosi de’ Licii avean de’ merli
Già vinto il sommo. Si scontrâr gli eroi465
Fronte a fronte, e levossi alto clamore.
Primo l’Aiace Telamónio uccise
Il magnanimo Epícle, un caro amico
Di Sarpedon. Giacea sull’ardua cima
Della muraglia un aspro enorme sasso,470
Tal che niun de’ presenti, anco sul fiore
Delle forze, il potrebbe agevolmente
A due man sollevar. Ma lieve in alto
Levollo Aiace, e lo scagliò. L’orrendo
Colpo diruppe il bacinetto, e tutte475
L’ossa del capo sfracellò. Dall’alta
Torre il percosso a notator simíle
Cadde, e l’alma fuggì. Teucro di poi
Di strale a Glauco il nudo braccio impiaga
Mentre il muro assalisce, e lo costrigne480
La pugna abbandonar. Glauco d’un salto
Giù dagli spaldi gittasi furtivo,
Onde nessuno degli Achei s’avvegga
Di sua ferita, e villanía gli dica.
Ben se n’accorse Sarpedonte, ed alta485
Dell’amico al partir doglia il trafisse.
Ma non lentossi dalla pugna, e giunto
Colla lancia il Testóride Alcmeone,
Gliela ficca nel petto, e a sè la tira.
Segue il trafitto l’asta infissa, e cade490
Boccone, e l’armi risonâr sovr’esso.
Colla man forte quindi il licio duce
Un merlo afferra, a sè lo tragge, e tutto