Pagina:Iliade (Monti).djvu/316

v.393 libro duodecimo 305

Nelle calde battaglie, onde alcun d’essi
Gridar s’intenda: Glorïosi e degni
Son del comando i nostri re: squisita395
È lor vivanda, e dolce ambrosia il vino,
Ma grande il core, e nella pugna i primi.
Se il fuggir dal conflitto, o caro amico,
Ne partorisse eterna giovinezza,
Non io certo vorrei primo di Marte400
I perigli affrontar, ned invitarti
A cercar gloria ne’ guerrieri affanni.
Ma mille essendo del morir le vie,
Nè scansar nullo le potendo, andiamo:
Noi darem gloria ad altri, od altri a noi.405
   Disse, nè Glauco si ritrasse indietro,
Nè ritroso il seguì. Con molta mano
Dunque di Licii s’avviâr. Li vide
Rovinosi e diritti alla sua torre
Affilarsi il Petíde Menestéo,410
E sgomentossi. Girò gli occhi intorno
Fra gli Achivi spïando un qualche duce
Che lui soccorra e i suoi compagni insieme.
Scorge gli Aiaci che indefessi e fermi
Sostenean la battaglia, e avean dappresso415
Teucro pur dianzi della tenda uscito.
Ma non potea far loro a verun modo
Le sue grida sentir, tanto è il fragore
Di che l’aria rimbomba alle percosse
Degli scudi, degli elmi e delle porte420
Tutte a un tempo assalite, onde spezzarle
E spalancarle. Immantinente ei dunque
Manda ad Aiace il banditor Toota,
E, Va, gli dice, illustre araldo, vola,
Chiama gli Aiaci, chiamali ambedue,425
Chè questo è il meglio in sì grand’uopo. Un’alta

Iliade, Vol. I 20