Pagina:Iliade (Monti).djvu/305

294 iliade v.19

Si devolvono al mar, Reso, Graníco,
Rodio, Careso, Eptáporo ed Esépo20
E il divino Scamandro e Simoenta
Che volge sotto l’onde agglomerati
Tanti scudi, tant’elmi e tanti eroi.
Di questi rivoltò Febo le bocche
Contro l’alta muraglia, e vi sospinse25
Nove giorni la piena. Intanto Giove,
Perchè più ratto l’ingoiasse il mare,
Incessante piovea. Nettunno istesso
Precorrea le fiumane, e col tridente
E coll’onda atterrò le fondamenta30
Che di travi e di sassi v’avean posto
I travagliosi Achivi; infin che tutta
Al piano l’adeguò lungo la riva
Dell’Ellesponto. Smantellato il muro,
Fe’ di quel tratto un arenoso lido,35
E tornò le bell’acque al letto antico.
Di Nettunno quest’era e in un d’Apollo
L’opra futura. Ma la pugna intorno
A quel valido muro or ferve e mugge.
   Cigolar delle torri odi percosse40
Le compági, e gli Achei dentro le navi
Chiudonsi domi dal flagel di Giove,
E paventosi dell’ettoreo braccio,
Impetuoso artefice di fuga;
Perocchè pari a turbine l’eroe45
Sempre combatte. E qual cinghiale o bieco
Leon cui fanno cacciatori e cani
Densa corona, di sue forze altero
Volve dintorno i truci occhi, nè teme
La tempesta de’ dardi nè la morte,50
Ma generoso si rigira e guarda
Dove slanciarsi fra gli armati, e ovunque