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v.111 libro undecimo 263

Ivi ognuno in suo cor fremea di sdegno
Contro l’alto de’ nembi addensatore,
Che dar vittoria a’ Troi volea; ma nullo
Pensier si prende di quell’ira il padre
Che in sua gloria esultante e tutto solo115
In disparte sedea, Troia mirando
E l’achee navi, e il folgorar dell’armi,
E il ferire e il morir de’ combattenti.
   Finchè il mattin processe, e crebbe il sacro
Raggio del giorno, d’ambe parti eguale120
Si mantenne la strage. Ma nell’ora
Che in montana foresta il legnaiuolo
Pon mano al parco desinar, sentendo
Dall’assiduo tagliar cerri ed abeti
Stanche le braccia e fastidito il core,125
E dolce per la mente e per le membra
Serpe del cibo il natural desío,
Prevalse la virtù de’ forti Argivi,
Che animando lor file e compagnie
Sbaragliâr le nemiche. Agamennóne130
Saltò primier nel mezzo, e Bïanorre,
Pastor di genti, uccise, indi Oiléo,
Suo compagno ed auriga. Era dal carro
Costui sceso d’un salto, e gli venía
Dirittamente contro. A mezza fronte135
Coll’acuta asta lo colpì l’Atride.
Non resse al colpo la celata; il ferro
Penetrò l’elmo e l’osso, e tutto interna-
-mente di sangue gli allagò il cerébro.
Così l’audace assalitor fu domo.140
Rapì d’ambo le spoglie Agamennóne,
E nudi il petto li lasciò supini.
   Andò poscia diretto ad assalire
Due di Priamo figliuoli, Iso ed Antifo,