Pagina:Iliade (Monti).djvu/249

238 iliade v.13

Ch’ardon dinanzi ad Ilio, e non ascolta
Che di tibie la voce e di sampogne
E festivo fragor. Ma quando il campo15
Acheo contempla ed il tacente lido,
Svellesi il crine, al ciel si lagna, ed alto
Geme il cor generoso. Alfin gli parve
Questo il miglior consiglio, ir del Nelíde
Nestore in traccia a consultarne il senno,20
Onde qualcuna divisar con esso
Via di salute alla fortuna achea.
Alzasi in questa mente, intorno al petto
La tunica s’avvolge, ed imprigiona
Ne’ bei calzari il piede. Indi una fulva25
Pelle s’indossa di leon, che larga
Gli discende al calcagno, e l’asta impugna.
   Nè di minor sgomento a Menelao
Palpita il petto; e fura agli occhi il sonno
L’egro pensier de’ periglianti Achivi,30
Che a sua cagione avean per tanto mare
Portato ad Ilio temeraria guerra.
Sul largo dosso gittasi veloce
Una di pardo maculata pelle,
Ponsi l’elmo alla fronte, e via brandito35
Il giavellotto, a risvegliar s’affretta
L’onorato, qual nume, e dagli Argivi
Tutti obbedito imperador germano;
Ed alla poppa della nave il trova
Che le bell’armi in fretta si vestía.40
Grato ei n’ebbe l’arrivo: e Menelao
A lui primiero, Perchè t’armi, disse,
Venerando fratello? Alcun vuoi forse
Mandar de’ nostri esplorator notturno
Al campo de’ Troiani? Assai tem’io45
Che alcuno imprenda d’arrischiarsi solo