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v.249 libro ottavo 193

Giovine sposo. Or via, volate; andiamo
Alla conquista del nestóreo scudo250
Di cui va il grido al cielo, e tutto il dice
D’auro perfetto, e d’auro anco la guiggia.
Poi di dosso trarremo a Dïomede
L’usbergo, esimia di Vulcan fatica.
Se cotal preda ne rïesce, io spero255
Che ratti i Greci su le navi in questa
Notte medesma salperan dal lido.
   Del superbo parlar forte sdegnossi
L’augusta Giuno, e s’agitò sul trono
Sì che scosso tremonne il vasto Olimpo.260
Quindi rivolte le parole al grande
Dio Nettunno, sì disse: E sarà vero,
Possente Enosigéo, che degli Argivi
A pietà non ti mova la ruina!
Pur son essi che in Elice ed in Ege265
Récanti offerte grazïose e molte.
E perchè dunque non vorrai tu loro
La vittoria bramar? Certo se quanti
Siam difensori degli Achivi in cielo
Vorrem de’ Teucri rintuzzar l’orgoglio270
E al Tonante far forza, egli soletto
E sconsolato sederà su l’Ida.
   Oh! che mai parli, temeraria Giuno?
Le rispose sdegnoso il re Nettunno:
Non sia, no mai, che col saturnio Giove275
A cozzar ne sospinga il nostro ardire;
Rammenta ch’egli è onnipossente, e taci.
   Mentre seguían tra lor queste parole,
Quanto intervallo dalle navi al muro
La fossa comprendea, tutto era denso280
Di cavalli, di cocchi e di guerrieri
Ivi dal fiero Ettór serrati e chiusi,

Iliade, Vol. I 13