Ne’ detti accorto, d’ingannarmi: in questo
Nè gabbo tu mi fai, divino Achille,
Nè persuaso al tuo voler mi rechi.
Dunque terrai tu la tua preda, ed io
Della mia privo rimarrommi? E imponi180
Che costei sia renduta? Il sia. Ma giusti
Concedanmi gli Achivi altra captiva
Che questa adegui e al mio desir risponda.
Se non daranla, rapirolla io stesso,
Sia d’Aiace la schiava, o sia d’Ulisse,185
O ben anco la tua: e quegli indarno
Fremerà d’ira alle cui tende io vegna.
Ma di ciò poscia parlerem. D’esperti
Rematori fornita or si sospinga
Nel pelago una nave, e vi s’imbarchi190
Coll’ecatombe la rosata guancia
Della figlia di Crise, e ne sia duce
Alcun de’ primi, o Aiace, o Idomenéo,
O il divo Ulisse, o tu medesmo pure,
Tremendissimo Achille, onde di tanto195
Sacrificante il grato ministero
Il Dio ne plachi che da lunge impiaga.
Lo guatò bieco Achille, e gli rispose:
Anima invereconda, anima avara,
Chi fia tra i figli degli Achei sì vile200
Che obbedisca al tuo cenno, o trar la spada
In aguati convegna o in ria battaglia?
Per odio de’ Troiani io qua non venni
A portar l’armi, io no; chè meco ei sono
D’ogni colpa innocenti. Essi nè mandre205
Nè destrier mi rapiro; essi le biade
Della feconda popolosa Ftia
Non saccheggiâr; chè molti gioghi ombrosi
Ne son frapposti e il pelago sonoro.