Pagina:Iliade (Monti).djvu/130

v.456 libro quinto 119

Sedur d’imbelli femminette il core?
Se qui troppo t’avvolgi, io porto avviso
Che tale desteratti orror la guerra,
Ch’anco il sol nome ti darà paura.
   Disse; ed ella turbata ed affannosa460
Partiva. La veloce Iri per mano
La prese, la tirò fuor del tumulto
Carca di doglie e livida le nevi
Della morbida cute. Alla sinistra
Della pugna seduto il furibondo465
Marte trovò: la grande asta del Nume
E i veloci corsier cingea la nebbia.
Gli abbracciò le ginocchia supplicando
La sorella, e gridò: Caro fratello,
Miserere di me, dammi il tuo cocchio470
Ond’io salga all’Olimpo. Assai mi crucia
Una ferita che mi feo la destra
D’un ardito mortal, di Dïomede,
Che pur con Giove pigliería contesa.
   Sì prega, e Marte i bei destrier le cede.475
Salì sul cocchio allor la dolorosa,
Salì al suo fianco la taumanzia figlia,
E in man tolte le briglie, a tutto corso
I cavalli sferzò che desïosi
Volavano. Arrivâr tosto all’Olimpo,480
Eccelsa sede degli Eterni. Quivi
Arrestò la veloce Iri i corsieri,
Li disciolse dal giogo, e ristorolli
D’immortal cibo. La divina intanto
Venere al piede si gittò dell’alma485
Genitrice Dïona, che la figlia
Raccogliendo al suo seno, e colla mano
La carezzando e interrogando, Oh! disse,
Oh! chi mai de’ Celesti si permise,