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capitolo decimoquinto. | 87 |
faceva eco; e la povera Sofia sembrava stupidita alla vista di tale scelleraggine ch’io riguardava come esempio di non provocata ingratitudine il più vile che mi fosse mai incontrato, ed attribuiva la cagione di quella indegnità al solo desiderio di Burchell che le fanciulle rimanessero in provincia onde avere più opportunità di conversare seco loro. Ognuno di noi delirava in pensando al modo di vendicarsi; quando l’altro piccino corse in camera a dirci che il signor Burchell era in fondo del campo che se ne veniva vêr casa nostra.
Mancano per avventura parole a volere, o lettore, tener dietro alla tua immaginazione, e descrivere con colori vivi altrettanto la folla, l’urtarsi degli affetti destati allora in anime lacerate dalla rabbia per ingiuria ricevuta di fresco, e le quali sentivano avvicinarsi tutta la voluttà della vendetta. Nostra voglia era solamente di buttargli in faccia la vergognosa ingratitudine di lui; ma fu stabilito che si dovesse venirne a compimento nella maniera la più pungente. Però fermammo di accoglierlo coll’usato sorriso, di allargare anche a prima giunta la mano in gentilezze, e di mettersegli attorno tutti noi con mille moine; poi nel bel mezzo di quella calma lusinghiera prorompere come un tremuoto improvviso addosso al cattivo, e schiacciarlo col testimonio della sua viltà. Per imprese di tal fatta la moglie mia era piena di destrezza, e la ne sapeva forse più di noi tutti; quindi a lei fu affidato l’incarico di condur questa a fine. Si accostò Burchell alla porta, entrò in camera, prese una seggiola e s’assise. “Buon giorno, signor Burchell.” — “Buon giorno, e Dio ’l voglia, o Dottore; ma temo di pioggia, perchè mi duole il capo.” — “Dolgonvi le corna dunque, o signor Burchell? " gridò mia moglie simulando un sonoro riso; poi gli chiese perdono dello scherzo. “Oh! di buon grado vi perdono; nè l’avrei creduto uno scherzo, se voi non me ne aveste avvertito.”
Allora ella gittò uno sguardo a noi, e proseguì la