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74 | il vicario di wakefield. |
sono scarso guadagno; fuori presto le monete.” — “Non ho meco nè una sola crazia; ho speso tutto in contrattazioni, ed eccovi quel che ho comperato.” Cavò di seno un fardello di dodici dozzine di occhiali verdi cassati in argento cogli astucci di zigrino. “Che diamine festu mai?” replicò mia moglie con voce fioca. “E tu, spacciato il puledro, non ci hai portate a casa che dodici dozzine d’occhiali? Guarda miseria! solamente questi occhialacci verdi!” — “Ma, cara madre, perchè non vuoi ascoltar ragione? se non fosse stato vilissimo il prezzo, non ne avrei fatta la compera. Le sole incassature vagliono il doppio.” — “Valgono un fico,” gridò mia moglie in collera: “scommetto che non ne ricavi la metà, se li vendi per argento rotto a cinque scellini l’oncia.” — “Non ti dar pensiero, donna mia,” diss’io, “della vendita delle incassature, perchè non è che rame inargentato.” — “Trista me! che di’ tu mai? non argento? non son d’argento le incassature?” — “No, in fede mia; lo sono quanto la tua tegghina.” — “Dunque s’è dato via il puledro per sole dodici dozzine d’occhiali verdi legati in rame cogli astucci di zigrino? Al diavolo con codeste ciarpe! L’hanno cuculiato il pecorone; e’ doveva badare meglio a’ fatti suoi e conoscere i tristi.” — “Moglie cara, tu t’inganni. Come doveva egli conoscerli?” — “Poh! alle forche il babbuino! Portarmi di sì fatte porcherie! Le getterei al fuoco, se le mi stessono in mano.” — “Pazzia davvero sarebbe; perchè, quantunque siano di rame, è meglio avere degli occhiali di rame che uno zero.”
Il povero Mosè intanto trasecolava, accorgendosi d’essere stato colto nel laccio da un furbo truffatore, che, squadratolo dal capo al piede, lo aveva rinvenuto uomo da uccellare a fave. Gli domandai come fosse ita la cosa.
“Venduto il cavallo, io me ne andava su e giù pel mercato in cerca d’un altro; e un uomo d’aspetto grave mi trasse ad una baracca sotto pretesto d’averne egli uno da vendere. Quivi incontrai un’altra persona ben ve-