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capitolo decimo. | 63 |
e segnate a dito da tutti come se avessero vinto il palio. Guarda, marito mio, a quel ch’io ho immaginato. Vi sono i due nostri cavalli da aratro, il puledro che abbiamo già da nove anni, e ’l suo compagno il morellotto il quale da un mese non ha mai posto piede nei campi; entrambi impigriscono nella grascia. E perchè non hanno a fare ancor essi qualche cosa? Lasciamelo dire, marito mio: se Mosè li mette un tantino in concio, non faranno poi la trista figura.”
A questa proposizione io obbiettai, che sarebbe stato venti volte più decoroso l’andarne a piedi che con una vettura sì sguaiata, perchè il morellotto era losco e puledro non avea coda; che non erano mai state poste loro le redini; che que’ rozzoni eran pieni di vizi; e che in casa non avevamo che un sol basto ed una sella da donna: ma tutto fu in vano, e mi trovai costretto a dir di sì. La mattina seguente vedendo che elle si davano gran briga per ragunare gli attrezzi necessari alla spedizione, e parendomi che la cosa andasse alla lunga, mi avviai innanzi verso la chiesa, promessomi prima per gli altri tutti di seguirmi subito subito.
Per quasi un’ora stetti al leggio aspettando che giungessero; ma non vedendo comparire persona, dovetti incominciare e proseguire l’ufficiatura non senza rincrescimento della loro assenza, il quale fu doppio quando, finite tutte le ceremonie, non era apparsa ancora faccia della famiglia. Però m’incamminai inverso casa lungo la strada maestra, quantunque di tre miglia più tarda che la viottola; e giunto a mezzo, mi accorsi della processione che si avanzava lenta lenta verso la chiesa. Il mio figliuolo, mia moglie e i due piccini pompeggiavano sovra l’uno, e le due fanciulle sovra l’altro cavallo. Domandai qual fosse la cagione del ritardo, e dai loro sguardi compresi a dirittura che avevano incontrate di mille sventure nel cammino. Da prima i cavalli non volevano uscire dalla porta, e fu d’uopo che quel buon uomo di Burchell