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58 | il vicario di wakefield. |
applaudiva mia moglie, affermando nulla più ardentemente bramare ella che di potere per una invernata almeno dare una vernice di educazione cittadinesca alle sue figliuole. Allora io in fretta in fretta risposi che già le fanciulle erano allevate civilmente più che al loro stato non si convenisse; e che il di più non avrebbe servito che a renderne ridicola la povertà, mettendo loro pel capo de’ grilli e ’l sapore di certi piaceri a cui non potevano ragionevolmente aspirare. “E quali piaceri non meritano elle di godere,” esclamò il signor Thornhill, “elleno che tanti ne hanno da compartire? Io, cui non mancano discreti beni di fortuna, ristringo tutte le massime di mia morale a tre soli capi; amore, libertà e piacere: ma il diavolo mi colga, se mezzo il mio patrimonio io non darei volentieri all’amabile Sofia, ov’ella ne dovesse trarre diletto; e l’unico favore che ne chiederei in contraccambio sarebbe di poter aggiungere al dono anche tutto me stesso.”
Non era io poi tanto soro da ignorare quello essere il gergo di cui si sogliono vestire le più vili ed insolenti offerte; ma feci ogni sforzo per tenere a freno la mia rabbia, e mi contentai di dire: “Signore, la famiglia che voi ora onorate della vostra compagnia è per educazione gelosa del proprio onore quanto voi del vostro; e chiunque tentasse di fare a quello ingiuria, capiterebbe assai male. Poichè l’unico tesoro che ci sia rimasto è l’onore, noi dobbiamo con ogni cura conservarcelo.” Finite queste parole, mi cominciava già a rincrescere la veemenza con cui io le aveva pronunciate; ma il giovane scudiero palpandomi la mano commendò altamente il mio spirito quantochè disapprovasse i miei sospetti; e giurò niuna cosa aver meno in cuore che sì fatto pensiero: perchè alieno egli dalla smania di voler vincere quelle virtù che resistono gran pezza agli altrui assalti, non aveva mai fatto colpo in amore, se non per via di qualche tratto astuto e repentino.