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46 | il vicario di wakefield. |
lodi più ch’ella non merita.” — “No, no, caro padre,” replicò Olivia; “mamma mia non s’inganna; ne ho lette tante di dispute, e quelle tra Thwackum e Square, e l’altre tra Robinson Crusoè e ’l selvaggio Venerdì: ed ora mi sto divorando il libro della galanteria religiosa.” Me ne congratulai con essolei dicendole, che ella mi pareva in istato da operar conversioni, e l’avviai a far focacce insieme alla madre.
CAPITOLO OTTAVO.
Un amore che promette poca felicità,
può, non ostante, produrne di molta.
Il giorno che seguì poi tornò il signor Burchell a farci visita; e quantunque per certe ragioni questo di lui spesseggiare mi dispiacesse, non mi pativa l’animo di negargli il mio focolare. Egli è vero che la compagnia che gli tenevamo veniva ricompensata dai suoi lavori, essendo egli sempre il primo innanzi a tutti nel prato o frammezzo ai covoni, ed alleviandoci tratto tratto il travaglio con alcune panzane. Egli era sì pieno di fantasticherie e insieme di sensibilità, che m’era forza ad un tempo stesso amarlo, deriderlo e averne compassione. L’unica cosa che me lo rendeva alcun poco rincrescevole era una tal quale benevolenza ch’egli manifestava per la mia figliuola, chiamandola per ischerzo la sua piccola amante; e ogni qual volta a ciascuna delle fanciulle egli portava in dono un lacciuolo di nastri, ella ne aveva sempre il più bello. Come la fosse io non so, ma ogni dì pareva egli diventar più amabile e vivace, e la di lui semplicità si trasmutava in una certa aria che ti sentiva del savio.
Si desinò quel giorno in mezzo al campo; e, distesa sul fieno la tovaglia, noi sedemmo, o per dir meglio, ci