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capitolo sesto. | 41 |
ai piccini, Mosè sedeva in un canto leggendo, e le figliuole parevano anch’esse brigarsi di un lavorietto. Per lunga pezza io le vidi cuocere alcuna cosa al focolare, e da prima pensava che prestassero assistenza alla loro madre; ma il piccolo Ricciardetto mi susurrò all’orecchio quella essere una lavanda pe’ loro visi. A me era in odio ogni sorta di lavacri artificiali, sapendo io che in cambio di correggere le carni te le guastano; però bel bello accostai la mia scranna al fuoco, e quasi quello abbisognasse d’essere attizzato, v’adoperai tanto il frugatoio che l’apparecchio come per isbaglio si rovesciò; nè, andato male quello, vi fu tempo di riordinarne un altro.
CAPITOLO SETTIMO.
Venuto il giorno nel quale dovevamo banchettare il nostro giovane padrone, per far grandezze e sfoggi si diede il guasto al serbatoio; ed è facil cosa l’indovinare come mia moglie e le figliuole si dessono a far pompa dei loro più gai ciuffetti di piume. Il signor Thornhill arrivò in compagnia di due amici, il suo cappellano e ’l falconiere; ed avendo seco di molti servi, ordinò loro pulitamente d’andarne all’osteria vicina; ma mia moglie nel trionfo del di lei cuore volle che si fermassero tutti, per la cui ghiottornía patì poscia digiuno la famiglia per ben tre settimane. Il dì innanzi ci aveva Burchell avvisati segretamente che il signor Thornhill stava facendo alcune proposizioni di matrimonio a madamigella Wilmot, l’amante un tempo del mio figliuolo Giorgio; per la qual cosa s’era alquanto rabbruscata la famiglia ed intiepiditane la cordialità. Ma presto la fortuna ci trasse, in parte,