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capitolo sesto. 39

propria, quasi volendo spiare quanta ospitalità tra di noi ancora rimanesse. Debora mia, regala tosto a ciascheduno di questi bambini un pizzicotto di zucchero, e largheggia un tantino di più con Ricciardetto, perchè fu egli il primo ad aprir bocca.”

Il dì vegnente di buon mattino chiamai tutta la famiglia a ragunare una segatura di fieno; ed offertaci dal nostro ospite l’opera sua, egli pure v’intervenne, e prestamente avanzava il lavoro. Io precedeva la comitiva, e gli altri in giusto ordine mi tenevano dietro rivolgendo i mucchierelli onde pigliassero aria; e presto mi accorsi della assiduità con cui Burchell alleviava la fatica a Sofia. Finita ch’egli avesse la di lui parte di travaglio, l’avresti veduto correre alla fanciulla, lavorare in di lei compagnia, ciarlando con essa fittamente. Ma io portava troppa buona opinione dell’intelletto di Sofia, ed era convinto troppo della di lei ambizione, per non dover temere la minima cosa di un uomo di rovinate fortune. Quand’avemmo terminato i lavorecci della giornata, fu invitato di bel nuovo Burchell, come il dì avanti; ma quei se ne scusò, dicendo dover egli dormire da un altro vicino, al di cui ragazzino aveva a portare uno zufoletto, e se ne andò. Fra la cena, il parlare non cadde che su quel povero uomo dell’ospite partito; e colto il momento, io dissi: “Che esempio non è egli mai costui delle miserie che sieguono una giovinezza sregolata! Egli non manca di senso comune, e ciò più aggrava le sue passate follie. Povera creatura abbandonata! dove sono ora i buffoni e gli adulatori che lo circondavano gioviali e tutti ossequio? Forse eglino lisciano ora la coda a qualche ruffiano inricchito dalla balordaggine del signor Burchell; e incensano il bardassa delle lodi istesse che un dì davano a lui, barattando gli encomi già fatti al suo ingegno in amare contumelie sulla sua pazzia. Egli è povero, e se lo merita forse, perchè non è nè ambizioso della propria indipendenza, nè atto a cosa veruna.”