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216 il vicario di wakefield.

dere le licenze, e col non partire rendessi felice compiutamente la bella compagnia.

Non avevamo ancora finito di dire, quando un valletto ci avvisò essere giunto il messo colle carte cercate. Quindi mi diedi in fretta a vestirmi; e com’ebbi poi terminato, scesi abbasso, ove rinvenni ognuno da quella allegrezza compreso che gli agi somministrano e l’innocenza. Tuttavolta non andommi a genio gran fatto lo sghignazzare di quelli nel momento stesso in cui stavano preparandosi ad una cerimonia ch’era tanto solenne. Però dissi loro di che austero e sublime e conveniente contegno era mestieri per accostarsi a quel sacro mistico rito; ed affine di ben disporli, lessi loro due omelie ed una delle mie dispute. Ma essi, ad onta di tutto questo, non si lasciavano piegare; nè della mia serietà tenevano conto. Anche nell’andata alla chiesa, camminando tutti dietro a me, sdimenticarono affatto il portamento grave che loro si addiceva; per lo che più volte mi venne talento di ritornarne indietro sdegnato.

Ma in chiesa un altro dilemma destossi di non facile scioglimento, qual coppia cioè si dovesse sposare per la prima; perocchè insisteva caldamente la sposa di mio figliuolo nel voler dare la preminenza a madama Thornhill; ma scansava l’altra quell’onore con pari disinvoltura, dicendo non volere ella per cosa niuna del mondo commettere tanta inciviltà. E con uguale caparbieria e buona creanza dall’una parte e dall’altra si mantenne viva per lungo tempo la contesa; mentre che io col mio libro aperto in mano me ne stava ritto ritto aspettandone la fine. Stanco poscia ed annoiato de’ cinguettamenti, lo chiusi; e tenni loro questo corto ragionamento: “E’ pare che non vi vogliano essere nozze quest’oggi; e poichè nè l’una nè l’altra le brama, migliore partito è il ritornare a casa.”

Non fu d’uopo di più dire, perchè elle dessero luogo alla ragione: e ’l baronetto fu il primo a porre l’anello